jueves, 26 de mayo de 2011
Testimonios Peregrinos
Para peregrinos
No son las instituciones las que "hacen" a los hombres, sino que son éstos los que hacen a las instituciones... Por tanto vigile el peregrino de no convertir falsamente en fin lo que es medio, y permanecer independiente siempre de partidos y colores.
Cuando una institución sólo se contempla en el espejo y queda sometida a sus propios perfiles, sin ver más allá, quiere decir que padece una enfermedad mortal.
Alberto E. Justo
Cuando una institución sólo se contempla en el espejo y queda sometida a sus propios perfiles, sin ver más allá, quiere decir que padece una enfermedad mortal.
Alberto E. Justo
(Remitido por José Ignacio Frías Solar, peregrino)
Humor en el Camino
De Sarria a Santiago (Romance de los turigrinos)
Les sonaron las alarmas
cuando no eran ni las cuatro.
¿Dónde irán esas criaturas
madrugando más que el gallo?
Sin el menor miramiento
a todos nos despertaron
y nos dieron un concierto
de cremalleras y plásticos.
-“¡Silencio!”- gritaba uno-
“Que aún no es ni temprano”.
- “Disculpa” –respondió otro-
“Es que no encuentro mis bártulos”.
Una feria de linternas
nos tenía desvelados
pero así es la marabunta
que va de Sarria a Santiago.
Revolvían las literas,
se les caían los palos,
se tropezaban con todo
y hablaban en tono alto
convirtiendo el dormitorio
en un verdadero escándalo.
¿Dónde van esas gallinas
de noche y cacareando?
Van corriendo por tener
un colchón asegurado,
a guardar horas de cola
ante un albergue cerrado,
a sellar en todas partes
(aunque sea en los estancos),
que han de demostrar que hicieron
el Camino de Santiago.
¡Dios, qué cruz estos turistas!
¡Qué nochecita me han dado!
Mejor diera mi camino
en León por terminado,
pero ya que estoy aquí
me buscaré algún descanso.
Apartado del Camino
bajo la sombra de un árbol
tiendo mi saco y me acuesto
en un prado solitario
por recuperar el sueño
que esta noche me robaron.
A lo lejos veo el sendero
y como el Tenorio exclamo:
¡Cuan corren esos malditos
que van de Sarria a Santiago!
Les sonaron las alarmas
cuando no eran ni las cuatro.
¿Dónde irán esas criaturas
madrugando más que el gallo?
Sin el menor miramiento
a todos nos despertaron
y nos dieron un concierto
de cremalleras y plásticos.
-“¡Silencio!”- gritaba uno-
“Que aún no es ni temprano”.
- “Disculpa” –respondió otro-
“Es que no encuentro mis bártulos”.
Una feria de linternas
nos tenía desvelados
pero así es la marabunta
que va de Sarria a Santiago.
Revolvían las literas,
se les caían los palos,
se tropezaban con todo
y hablaban en tono alto
convirtiendo el dormitorio
en un verdadero escándalo.
¿Dónde van esas gallinas
de noche y cacareando?
Van corriendo por tener
un colchón asegurado,
a guardar horas de cola
ante un albergue cerrado,
a sellar en todas partes
(aunque sea en los estancos),
que han de demostrar que hicieron
el Camino de Santiago.
¡Dios, qué cruz estos turistas!
¡Qué nochecita me han dado!
Mejor diera mi camino
en León por terminado,
pero ya que estoy aquí
me buscaré algún descanso.
Apartado del Camino
bajo la sombra de un árbol
tiendo mi saco y me acuesto
en un prado solitario
por recuperar el sueño
que esta noche me robaron.
A lo lejos veo el sendero
y como el Tenorio exclamo:
¡Cuan corren esos malditos
que van de Sarria a Santiago!
miércoles, 25 de mayo de 2011
Historias del Camino
Deus, Angelus, Homo
da Adriana Pucci
Dante nella Vita Nuova descrive l’anima del pellegrino come divisa tra l’esigenza del rapporto con il mondo ultraterreno e quella del contatto diretto con le testimonianze religiose[1] ed opera un’ulteriore distinzione in base alla destinazione:
E dissi 'peregrini' secondo la larga significazione del vocabulo; ché peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori de la sua patria; in modo stretto non s'intende peregrino se non chi va verso la casa di sa' Iacopo o riede.
E però è da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio de l'Altissimo: chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, là onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepultura di sa' Iacopo fue più lontana de la sua patria che d'alcuno altro apostolo; chiamansi romei in quanto vanno a Roma, là ove questi cu' io chiamo peregrini andavano. Il Poeta individua tre tipologie di pellegrini: i palmieri , coloro che vanno oltre mare, là onde molte volte recano la palma (i pellegrini diretti in Terrasanta); i peregrini, ossia coloro che vanno a la casa di Galizia, però che la sepultura di sa’ Iacopo fue più lontana da la sua patria, che d’alcun altro apostolo (l’autore si riferisce al Santuario di Santiago di Compostela); i romei, i pellegrini che vanno a Roma.
Tre sono, dunque, le mete principali delle peregrinationes maiores nei secoli intorno al Medioevo, ossia Gerusalemme, Roma e Santiago de Compostela[2]. Come abbiamo accennato, Gerusalemme è la destinazione prediletta dei pellegrini dei primi secoli del Cristianesimo, almeno fino a quando cade sotto l’invasione islamica, momento in cui si afferma il pellegrinaggio a Roma. Per quanto riguarda Santiago, bisogna sottolineare la novità dell’ affermazione di questo sito, in quanto non ha relazioni con la cristianità storica ma si sviluppa grazie alla spinta e al volere del popolo. Santiago pone le proprie radici nel luogo in cui, intorno all’anno 815, venne scoperto il sepolcro dell’apostolo Giacomo[3] (decapitato nel 44 d.C., fu il primo degli apostoli di Cristo a subire il martirio)[4].
da Adriana Pucci
Dante nella Vita Nuova descrive l’anima del pellegrino come divisa tra l’esigenza del rapporto con il mondo ultraterreno e quella del contatto diretto con le testimonianze religiose[1] ed opera un’ulteriore distinzione in base alla destinazione:
E dissi 'peregrini' secondo la larga significazione del vocabulo; ché peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto è peregrino chiunque è fuori de la sua patria; in modo stretto non s'intende peregrino se non chi va verso la casa di sa' Iacopo o riede.
E però è da sapere che in tre modi si chiamano propriamente le genti che vanno al servigio de l'Altissimo: chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, là onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, però che la sepultura di sa' Iacopo fue più lontana de la sua patria che d'alcuno altro apostolo; chiamansi romei in quanto vanno a Roma, là ove questi cu' io chiamo peregrini andavano. Il Poeta individua tre tipologie di pellegrini: i palmieri , coloro che vanno oltre mare, là onde molte volte recano la palma (i pellegrini diretti in Terrasanta); i peregrini, ossia coloro che vanno a la casa di Galizia, però che la sepultura di sa’ Iacopo fue più lontana da la sua patria, che d’alcun altro apostolo (l’autore si riferisce al Santuario di Santiago di Compostela); i romei, i pellegrini che vanno a Roma.
Tre sono, dunque, le mete principali delle peregrinationes maiores nei secoli intorno al Medioevo, ossia Gerusalemme, Roma e Santiago de Compostela[2]. Come abbiamo accennato, Gerusalemme è la destinazione prediletta dei pellegrini dei primi secoli del Cristianesimo, almeno fino a quando cade sotto l’invasione islamica, momento in cui si afferma il pellegrinaggio a Roma. Per quanto riguarda Santiago, bisogna sottolineare la novità dell’ affermazione di questo sito, in quanto non ha relazioni con la cristianità storica ma si sviluppa grazie alla spinta e al volere del popolo. Santiago pone le proprie radici nel luogo in cui, intorno all’anno 815, venne scoperto il sepolcro dell’apostolo Giacomo[3] (decapitato nel 44 d.C., fu il primo degli apostoli di Cristo a subire il martirio)[4].
San Giacomo non divenne solo il santo protettore della Spagna ma, poiché la scoperta dei resti del santo favorì la Reconquista, la campagna contro i Musulmani che dal 713 erano padroni del sud della Spagna, divenne anche il difensore della cristianità che si oppone alla minaccia degli infedeli. Il percorso, che attraverso la Spagna e la Francia conduce al santuario costruito sulle spoglie di San Giacomo, prende il nome di Cammino di Santiago o Rotta Jacopea: la rotta Jacopea consta di una serie di strade di pellegrinaggio che i benedettini tracciarono appositamente attraverso tutta l’Europa[5].
Queste strade guidavano i pellegrini d’Europa [6] e sono descritte nel Codex Calixtinus (Liber Sancti Jacobi): dall’Italia si poteva seguire la via Francigena e poi la Tolosana fino ai Pirenei, mentre dalla Francia la via Tolosana (utilizzata anche dai pellegrini tedeschi), la via Turonense, la via Lemovicense o la via Podiense [7].
Attraverso questi percorsi i pellegrini giungevano al Puente de la Reina, dove tutti i cammini diventano uno e, in seguito, lungo gli 850 chilometri che attraversavano la Spagna settentrionale dai Pirenei alla regione atlantica, incontravano numerose località: Estella, Nájera, Burgos, Frómista, Sahagùn, Leòn, Rabanal del Camino, Villafranca del Bierzo, Triacastela e Palas de Rei:
ci si va a piedi, a cavallo, da soli o con altri. Per propria spontanea, improvvisa decisione o per dare compimento a un voto. Ma anche per fare penitenza: conta il cammino in sé, la fatica corporale, i rischi vissuti, superati; contano le sofferenze del percorso […] Perché meta ultima del pellegrino è in realtà il cielo, la patria celeste: anche qui conta l’andare, è in genere senza storia il ritorno. Ha importanza il percorso, l’adempimento del voto, non il rientrare, dopo, in patria, nelle propria casa[8].
Il Cammino di Santiago non nasce, tuttavia, per opera dei pellegrini ma risale, con buona probabilità al 20.000 a.C.; furono i romani, poi, a rendere questo sentiero una vera e propria strada [9]. In alternativa, si poteva utilizzare un percorso marittimo, in particolare durante le stagioni calde, che sotto certi aspetti era meno rischioso di quello via terra. Pare che i primi pellegrini [10] utilizzassero proprio la via marittima. La testimonianza più antica dell’utilizzo dei porti atlantici lasciata dai pellegrini diretti a Santiago è la Ruta de la Costa, ossia il Cammino di Santiago lungo la costa cantabrica.
Sulle strade che conducevano i pellegrini a Roma e a Gerusalemme rimandiamo al capitolo seguente, dedicato alla via Francigena; anticipiamo solo la trattazione di un altro importante sito diventato meta di pellegrinaggio: Monte Sant’Angelo. Con quest’ultimo riferimento chiudiamo il trittico Deus, Angelus, Homo, entità speculari ai santuari mèta dei grandi pellegrinaggi: Gerusalemme, Monte Sant’Angelo, Santiago de Compostela e Roma.
NOTE
1. Nel tracciare il profilo di un’antropologia del pellegrinaggio, Dupront ne individua tre caratteristiche essenziali: nell’esperienza religiosa della specie umana, il luogo sacro è una necessità, il pellegrinaggio è gesto straordinario di una ricerca umana del sacrale, il pellegrinaggio è volontà di potenza, collettiva o individuale. Alphonse Dupront, Il sacro. Crociate e pellegrinaggi. Linguaggi e immagini, Torino 1993, pp. 426-429.
2. Sul mito di fondazione di Santiago de Compostela Maria Immacolata Macioti, Pellegrinaggi e giubilei. I luoghi del culto, Bari 2000, pp.129-130.
3. Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni: Mt 10,2: I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello; Mc 3,17: poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; At 1,13: Quando furono arrivati, salirono al piano superiore della casa dove abitavano. Ecco i nomi degli apostoli: Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone che era stato del partito degli zeloti, e Giuda figlio di Giacomo. Lc 6, 13-14: Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d’Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore.
4. Secondo la leggenda, il cadavere del martire fu posto in arcis marmoricis, su una nave da due discepoli, Teodoro e Attanasio, senza timone né vele che riuscì a traghettare il corpo sulle spiagge spagnole, dove poi venne sepolto. Per alcuni studiosi il nome Compostela deriva dal latino Campus stellae, piana della stella, dove una “pioggia di stelle” (probabilmente il riflesso delle stelle nelle pozze di troba) indicò il luogo dove venne sepolto il santo. Secondo un’altra leggenda, una stella a otto punte (simile a quella che guidò i Magi) indicò il luogo del sepolcro. Per altri ancora, il termine Compostela potrebbe derivare da compostum, riferito al cimitero romano portato alla luce durante gli scavi del 1953. Per approfondimenti cf. Louis Charpentier, Il mistero di Compostela : una via iniziatica che attraversa i millenni, Torino 2006; Georges Berson, Con san Giacomo a Compostela, Torino, 2008; Atti, Istituto Veneto, Venezia 1865, p. 756; Gioia M.G. Lanzi Arenton, Guida a Santiago de Compostela, Casale Monferrato 1989.
5. Monika Hauf, Il cammino di Santiago. I misteri del pellegrinaggio per Santiago de Compostela, Roma 2004, cit. p.16.
6. Stando alle fonti, il primo pellegrino di origine non ispanica a raggiungere Compostela fu il vescovo di Le Puy nel 951. Seguirono, nel corso del XI secolo, gruppi di pellegrini francesi e catalani, poi germanici e fiamminghi e, infine, inglesi e italiani. Cfr. Roberto Lavarini, Il pellegrinaggio cristiano, Genova 1997, p.399.
7. Queste strade prendevano il nome dalla città da cui partivano:la via Podiense da Le Puy, la via Lemovicense da Limoges, la via Turonense da Tour e così via. Cfr. Monika Hauf, Il cammino di Santiago. I misteri del pellegrinaggio per Santiago de Compostela, Roma 2004, p.16.
8. Sul mito di fondazione di Santiago de Compostela Maria Immacolata Macioti, Pellegrinaggi e giubilei. I luoghi del culto, Bari 2000, cit. p.130.
9. Roberto Lavarini, Il pellegrinaggio cristiano, Genova 1997, p. 407.
10. Una serie di testimonianze di viaggi compiuti dall’Inghilterra verso la Coruña risalenti al XIII secolo attesta la durata di circa 4 giorni.
ci si va a piedi, a cavallo, da soli o con altri. Per propria spontanea, improvvisa decisione o per dare compimento a un voto. Ma anche per fare penitenza: conta il cammino in sé, la fatica corporale, i rischi vissuti, superati; contano le sofferenze del percorso […] Perché meta ultima del pellegrino è in realtà il cielo, la patria celeste: anche qui conta l’andare, è in genere senza storia il ritorno. Ha importanza il percorso, l’adempimento del voto, non il rientrare, dopo, in patria, nelle propria casa[8].
Il Cammino di Santiago non nasce, tuttavia, per opera dei pellegrini ma risale, con buona probabilità al 20.000 a.C.; furono i romani, poi, a rendere questo sentiero una vera e propria strada [9]. In alternativa, si poteva utilizzare un percorso marittimo, in particolare durante le stagioni calde, che sotto certi aspetti era meno rischioso di quello via terra. Pare che i primi pellegrini [10] utilizzassero proprio la via marittima. La testimonianza più antica dell’utilizzo dei porti atlantici lasciata dai pellegrini diretti a Santiago è la Ruta de la Costa, ossia il Cammino di Santiago lungo la costa cantabrica.
Sulle strade che conducevano i pellegrini a Roma e a Gerusalemme rimandiamo al capitolo seguente, dedicato alla via Francigena; anticipiamo solo la trattazione di un altro importante sito diventato meta di pellegrinaggio: Monte Sant’Angelo. Con quest’ultimo riferimento chiudiamo il trittico Deus, Angelus, Homo, entità speculari ai santuari mèta dei grandi pellegrinaggi: Gerusalemme, Monte Sant’Angelo, Santiago de Compostela e Roma.
NOTE
1. Nel tracciare il profilo di un’antropologia del pellegrinaggio, Dupront ne individua tre caratteristiche essenziali: nell’esperienza religiosa della specie umana, il luogo sacro è una necessità, il pellegrinaggio è gesto straordinario di una ricerca umana del sacrale, il pellegrinaggio è volontà di potenza, collettiva o individuale. Alphonse Dupront, Il sacro. Crociate e pellegrinaggi. Linguaggi e immagini, Torino 1993, pp. 426-429.
2. Sul mito di fondazione di Santiago de Compostela Maria Immacolata Macioti, Pellegrinaggi e giubilei. I luoghi del culto, Bari 2000, pp.129-130.
3. Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni: Mt 10,2: I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea, suo fratello; Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello; Mc 3,17: poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; At 1,13: Quando furono arrivati, salirono al piano superiore della casa dove abitavano. Ecco i nomi degli apostoli: Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone che era stato del partito degli zeloti, e Giuda figlio di Giacomo. Lc 6, 13-14: Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d’Alfeo, Simone soprannominato Zelota, Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore.
4. Secondo la leggenda, il cadavere del martire fu posto in arcis marmoricis, su una nave da due discepoli, Teodoro e Attanasio, senza timone né vele che riuscì a traghettare il corpo sulle spiagge spagnole, dove poi venne sepolto. Per alcuni studiosi il nome Compostela deriva dal latino Campus stellae, piana della stella, dove una “pioggia di stelle” (probabilmente il riflesso delle stelle nelle pozze di troba) indicò il luogo dove venne sepolto il santo. Secondo un’altra leggenda, una stella a otto punte (simile a quella che guidò i Magi) indicò il luogo del sepolcro. Per altri ancora, il termine Compostela potrebbe derivare da compostum, riferito al cimitero romano portato alla luce durante gli scavi del 1953. Per approfondimenti cf. Louis Charpentier, Il mistero di Compostela : una via iniziatica che attraversa i millenni, Torino 2006; Georges Berson, Con san Giacomo a Compostela, Torino, 2008; Atti, Istituto Veneto, Venezia 1865, p. 756; Gioia M.G. Lanzi Arenton, Guida a Santiago de Compostela, Casale Monferrato 1989.
5. Monika Hauf, Il cammino di Santiago. I misteri del pellegrinaggio per Santiago de Compostela, Roma 2004, cit. p.16.
6. Stando alle fonti, il primo pellegrino di origine non ispanica a raggiungere Compostela fu il vescovo di Le Puy nel 951. Seguirono, nel corso del XI secolo, gruppi di pellegrini francesi e catalani, poi germanici e fiamminghi e, infine, inglesi e italiani. Cfr. Roberto Lavarini, Il pellegrinaggio cristiano, Genova 1997, p.399.
7. Queste strade prendevano il nome dalla città da cui partivano:la via Podiense da Le Puy, la via Lemovicense da Limoges, la via Turonense da Tour e così via. Cfr. Monika Hauf, Il cammino di Santiago. I misteri del pellegrinaggio per Santiago de Compostela, Roma 2004, p.16.
8. Sul mito di fondazione di Santiago de Compostela Maria Immacolata Macioti, Pellegrinaggi e giubilei. I luoghi del culto, Bari 2000, cit. p.130.
9. Roberto Lavarini, Il pellegrinaggio cristiano, Genova 1997, p. 407.
10. Una serie di testimonianze di viaggi compiuti dall’Inghilterra verso la Coruña risalenti al XIII secolo attesta la durata di circa 4 giorni.
martes, 24 de mayo de 2011
Camino del Sureste
Diez Asociaciónes jacobeas llevan adelante el proyecto La Unión de Asociaciones hace Camino
Escalona.- Una decena de Asociaciones de Amigos del Camino de Santiago de la Ruta del Sureste van a realizar una marcha por etapas que comenzará el próximo 26 de mayo en Alicante y concluirá el 26 de junio de Astorga, en respuesta a una iniciativa de la Asociación jacobea abulense, que lleva el lema de “La Unión de Asociaciones hace Camino”.
Las Asociaciones que van a participar en este proyecto son:
- Asociación de Amigos del Camino de Santiago de Alicante.
- Asociación de Amigos de los Caminos de Santiago del Sureste de Novelda.
- Asociación de Amigos de los Caminos de Santiago del Sureste de Caudete.
- Asociación de Amigos del Camino de Santiago de Albacete.(Alatoz)
- Asociación de Senderismo Camino de Santiago de La Roda.
- Asociación de Amigos del Camino de Santiago de Cuenca.
- Asociación de Amigos del Camino de Santiago de Toledo.(Escalona)
- Asociación del Camino de Santiago del Sureste en Valladolid.
- Asociación de Amigos del Camino de Santiago de Alicante.
- Asociación de Amigos de los Caminos de Santiago del Sureste de Novelda.
- Asociación de Amigos de los Caminos de Santiago del Sureste de Caudete.
- Asociación de Amigos del Camino de Santiago de Albacete.(Alatoz)
- Asociación de Senderismo Camino de Santiago de La Roda.
- Asociación de Amigos del Camino de Santiago de Cuenca.
- Asociación de Amigos del Camino de Santiago de Toledo.(Escalona)
- Asociación del Camino de Santiago del Sureste en Valladolid.
- Asociación Galega dos Amigos do Camiño de Santiago.
- Asociación de Amigos del Camino de Santiago en Ávila.(Gotarrendura)
Todas esas Asociaciones jacobeas, que aprovecharán para comprobar el estado de la ruta y la señalización, compartirán la última etapa de 25 kilómetros, desde La Bañeza hasta Astorga, donde celebrarán una comida de hermandad.
- Asociación de Amigos del Camino de Santiago en Ávila.(Gotarrendura)
Todas esas Asociaciones jacobeas, que aprovecharán para comprobar el estado de la ruta y la señalización, compartirán la última etapa de 25 kilómetros, desde La Bañeza hasta Astorga, donde celebrarán una comida de hermandad.
El relevo entre Asociaciones consistirá en un bordón al que se irán añadiendo una vieira (concha) por cada una de las Asociaciones relevistas, y todos esos objetos serán llevados posteriormente hasta O Cebreiro como homenaje al difunto Elías Valiña, párroco de esa localidad gallega, a quien se considera el responsable de la moderna dinamización de las peregrinaciones jacobeas.
El presidente de la Asociación Galega dos Amigos do Camiño de Santiago, José de la Riera Autrán, será quien acuda a Astorga a recibir el bordón y las vieras, para llevarlas a la tumba de Elías Valiña, cuya creación inspiró ´el que es conocido como “Cura de O Cebreiro”.
A la Asociación de Amigos del Camino de Santiago de Toledo, que tiene su sede en Escalona, le ha correspondido recorrer el tramo más largo, de cerca de 190 kilómetros, desde El Toboso hasta Cadalso de los Vidrios.
Al presidente de la AACSTE, Julián Carlos Menéndez Ortiz de Zarate, le corresponderá recibir el relevo de la Asociación de Cuenca en El Toboso y entregarlo en Cadalso a Raquel Martín, presidenta de los Amigos del Camino de Ávila, que son quienes han promovido esta iniciativa para promover el Camino del Sureste.
La Asociación abulense es, igualmente, autora de una credencial especialmente diseñada para esta ocasión, que se irá sellando en todos los finales de etapa del itinerario. En ella, se reflejan esos lugares y también están los logotipos de cada una de las asociaciones.
Los Amigos del Camino de Santiago de Toledo han invitado a todos sus asociados y a cualquiera que esté interesado en compartir esta experiencia a que caminen a su lado por el Camino del Sureste, una de las rutas históricas por las que han transitado los peregrinos desde hace más de mil años.
El Camino de Santiago forma parte del Patrimonio de la Humanidad de la UNESCO, está declarado Primer Itinerario Cultural Europeo por el Consejo de Europa y mereció el Premio Príncipe de Asturias por su contribución al desarrollo de la cultura occidental y del entendimiento entre los pueblos.
La iniciativa de las Asociaciones de Amigos del Camino de Santiago coincide con el año en que se ha cumplido el octavo centenario de la Catedral de Compostela, que sirve de colofón al Año Santo de 2010.
La iniciativa de las Asociaciones de Amigos del Camino de Santiago coincide con el año en que se ha cumplido el octavo centenario de la Catedral de Compostela, que sirve de colofón al Año Santo de 2010.
domingo, 8 de mayo de 2011
Testimonios Peregrinos
Vademecum de urgencia para peregrinos extranjeros en España
Por José A. de la Riera
Introito
Mis amigos brasileños me pedís esto (y no sé si os ayudará algo, supongo que no) Y ahí os va una pequeña parte de la serie, si es que en serie esto se transforma. No incluyo, de momento, la parte gastronómica y de "costumbres", ya que aspiro a no ser más lapidado de lo que sea menester. Siendo gallego, se me ha achacado excesiva estima por todo lo castellano. Me importa un carallo, en Castilla, y bajo sus estrellas, es donde levanto mi tienda en la noche. Con Castilla sólo hace falta una cosa para amarla: conocerla.
Perderse un poco, no ir por la trilla. Y no sólo me refiero al Camino físico. Es difícil para un peregrino extranjero, generalmente con tiempo limitado, escabullirse a los lugares comunes, a lo que cuentan las guías al uso. Lo mejor que le puede ocurrir a las guías al uso es que el peregrino las tire antes de comenzar el Camino, la mayoría son infames, no se sostienen, no aportan casi nada. Cierto que hay un peregrino que se atiene a esas guías, al metro a metro del Camino, que no levanta la mirada del suelo, que se levanta temprano, camina, come, llega al refugio y duerme. Al día siguiente igual, y al otro y al otro. No se abre, generalmente sólo trata con peregrinos de su país. Es muy respetable, es incluso lógico para mucha gente. Pero el Camino es una aventura única, y es lamentable no abrirse, no intentar al menos que le llegue todo lo que el Camino le puede aportar. Lo que a continuación sigue le puede añadir muy poco a ese peregrino, mejor dicho, no le va a aportar nada. Escribo estas lineas para el inquieto, para el aventurero, para el que abre todos sus poros al conocimiento, a cualquier conocimiento. Naturalmente, no están libres de subjetividad, la objetividad no existe, ¿qué es lo objetivo, quién es objetivo?
¿Españoles? Unos tipos vestidos de “flamencos”, siempre con una guitarra en las manos. Además, se dedican a destripar toros bravos. ¿Argentinos? Unas gentes que viven de arrearles a las reses con “boleadoras” y que derraman lágrimas de cocodrilo con los tangos de Gardel. ¿Brasileños? Ya se sabe, futbol y samba. ¿Franceses? Gente de permanente mala leche devoradores de “foi”. ¿Portugueses? Unos depresivos cuyo único objetivo en la vida es llorar, preferiblemente con los fados de Amalia. Si uno va al Norte de España y habla de corridas de toros es posible que le lapiden (salvo en Pamplona). ¿Flamenco? Toda Galicia y Asturias son viejos países celtas, donde el instrumento tradicional es la gaita, el flamenco es allí algo tan exótico como la danza cosaca. Por lo mismo, hay argentinos que no soportan a Gardel y brasileños que pasan del futbol (y además, la música que oyen es la “clásica”) Hay franceses que han declarado la guerra a los ganaderos que engordan brutalmente sus patos. Y una inmensa mayoría de portugueses alegres, abiertos, a los que además les gustan los fados (como a mí ) Ah, los tópicos.
España es un viejo país europeo, definido por Ortega y Gasset, uno de sus grandes filósofos como: “Una enorme nube de polvo, lo que ha quedado después del paso de un gran pueblo al galope”. Un gran pueblo al galope. Cuando el peregrino pase por el más humilde pueblo de Castilla, pueblos con casas de barro (adobe), azotados por inviernos inclementes y por veranos aterradores (nueve meses de invierno y tres de infierno), cuando vea a sus campesinos silenciosos, no se debe engañar. Han sido el corazón de hierro de España. Gente de hierro que formaba la élite de las tropas de los Tercios que conquistaron Europa. Gente de hierro que fue con Pizarro, con Hernán Cortés, con Orellana. Gente que tomó Argel a cuchillo y que saqueó Roma con el gran Carlos.
Durante siglos, guerrearon contra los mejores ejércitos musulmanes. Solos, en mitad de la tierra de nadie, al pie de la inmensa llanura, secos, sobrios, juncales. Son los castellanos, gentes de pocas palabras, lo más parecido a un tuareg. Pero... ¿esa es la España que va a recorrer el peregrino? No. Es una de las Españas que va a recorrer el peregrino. El gran error, el tópico que identifica a los españoles con guitarras flamencas, corridas de toros, panderetas y baile andaluz ha provocado (y provoca) toneladas de carcajadas en España. Un andaluz poco tiene que ver con un asturiano (Camino Primitivo), gente de tez rubia (¿loira?), que bebe sidra, toca la gaita, odia los toros y vive en un país verde de montañas infinitas. Y un asturiano poco o nada tiene que ver con un extremeño (Vía de la Plata). Y por, supuesto, ninguno de ellos con un castellano (Camino Francés) Gentes muy diversas, culturas distintas, usos y costumbres por veces opuestos... unidos todos, eso sí, por una permanente mala leche, que produce en nosotros lo mejor y lo peor. Las Españas, algo instranferible y difícil de comprender por ahí fuera. Por eso conviene que el peregrino curioso sepa lo que va a encontrar... y lo aproveche. Es distinto el vino de Navarra del vino de Galicia, nada que ver el gazpacho andaluz con el caldo gallego, para un castellano un saludo es una leve inclinación de cabeza, el gallego, sin embargo, te abraza... ambos te ofrecen su máxima cordialidad, tal vez, pero cada uno a su manera.
¿Preguntas? Ahí van: ¿debo besar a una señora cuando me despido?. ¿ por qué los asturianos blasfeman continuamente y los castellanos jamás? y... ¿por qué ese andaluz me llama continuamente “hijo puta”?, ¿debo aceptarlo?, ¿es un insulto?. ¿Cuándo un gallego me invita a un vino me disculpo y me voy? Es importante, ya qué: una gallega acepta el beso inmediatamente, una castellana te extenderá simplemente la mano, no es costumbre besarse en Castilla, los asturianos son los más descreídos entre los españoles, con una tradición revolucionaria que llega a nuestros días, sin embargo cualquier blasfemia en Castilla puede suponer ser lapidado, un andaluz llama a todo el mundo “hijo puta” en sentido cariñoso (algo inimaginable en el resto de España), si un gallego te invita a un vino (y más si es un vino cosechado por el mismo) considera el mayor de los insultos tu rechazo...
Ahora bien, todo esto hay que aceptarlo con inteligencia. Chesterton lo explicó muy bien cuando le preguntaron por los franceses: “¿Los franceses? ... hummm... no los conozco a todos”
Bien, esto jamás lo cuentan las guías, las guías son para gente que tiene prisa. Así que iré por partes. Espero que os sean útiles estas notas sobre mi país. Claro que siempre habrá un componente subjetivo ¿quién es objetivo?, ¿qué es la objetividad? Por otra parte los españoles somos ferozmente críticos con nosotros mismos, estamos muy alejados del chauvinismo de otros países europeos. Espero que leáis esto con inteligencia y con humor, con mucho humor. Tal vez os ayude a entender a este viejo país de Europa que os va a acoger entre los suyos. Empezaré por lo más árido: La Religión.
Religión y espiritualidad en España.
“La reserva espiritual de Occidente”. Santos, místicos, guerreros que entraban en batalla con la cruz de Cristo por estandarte. Soldados que se arrodillaban antes de entrar en combate para recibir la bendición de sus capellanes, cientos, miles y miles, de ermitas, iglesias, monasterios... Teresa de Jesús, Juan de Ávila, Ignacio de Loyola, Isidoro de Sevilla... docenas de santos, santos guerreros, santos místicos, santos poetas... y un pueblo sobrecogido ante las enormes catedrales, toda la España campesina se arrodillaba en sus campos ante el toque del ángelus en las iglesias aldeanas... manos callosas se santiguaban. En paralelo, Religión de Estado, sombras vestidas de negro batiendo las antiguas rúas de Sevilla, de Toledo, de Salamanca... hogueras encendidas, la Inquisición por todas partes, Lutero no pasará, la antigua España de la convivencia, judíos, moros y cristianos, derrotada por el humo de las hogueras. Junto a la sencillez de las creencias populares el feroz control de la Contrarreforma, los Tercios de Castilla combatiendo en toda Europa contra los luteranos, Castilla se viste de negro, al anochecer se pasean cruces por la desolada meseta festejando las victorias... ¡ Dios es grande!... y Castilla su valedora en la tierra. Religión y Corona van de la mano. Pero luego resulta que aquí no se quemó ni la décima parte de las brujas que convirtieron esmeradamente en cenizas en Alemania o Inglaterra. Por eso, cuidado con las guías y con muchos de sus tópicos.
Todo esto fue, ha sido, pero.. ¿qué queda de ello? Prácticamente nada, quedan las ruinas de los monasterios, las catedrales, las pequeñas iglesias, los seminarios vacíos, la fe sencilla de mucha gente... en un Estado laico. Gente pasional que oscila de un extremo a otro, esos somos nosotros, para bien o para mal. Dos siglos de guerras civiles, dónde no hubo cuartel para nadie, dónde no se hacían prisioneros, fueron en realidad dos siglos de guerras de religión. Sangre y fuego para todos, así se arreglaron las cosas por aquí. Y ahora se ha llegado a un hastío y a un consenso: No más sangre para nadie, ya hubo demasiada por demasiados siglos; primero contra los musulmanes (ocho siglos a hierro y fuego y de paso, ¡ Santiago y Cierra España!), luego contra los luteranos, también contra la misma Roma cuando Roma se volvió débil (los Tercios de Carlos V la arrasaron en el siglo XVI, una semana de orgía de sangre con el Papa cercado y aterrado), y luego entre nosotros mismos... demasiada sangre por la cruz de Cristo. Nunca más.
El peregrino recorrerá la España rural y le llamará la atención las iglesias cerradas a piedra y lodo Querrá, tal vez, asistir a alguna misa, ver algún retablo, admirar una humilde iglesia (el Camino de Santiago es la maravilla del románico, está lleno, rebosante, de arte). Le resultará difícil, no hay curas, no hay párrocos, no hay vocaciones. La tierra que dio miles de misioneros al mundo se ha secado. Eso no sé si es bueno o es malo, pero es una realidad. Los seminarios están vacíos. Sigue en pie la piedad popular entre las personas ancianas, pero los jóvenes han abandonado las iglesias, para ellos la religión es arqueología. Lo que pasa es que de vez en cuando, las chispas de la antigua devoción aparecen en los lugares más impensables. En Semana Santa toda España se paraliza y las antiguas ciudades castellanas, los más humilde pueblos, se llenan de penitentes que, a la luz de las antorchas, pasean, descalzos, encapuchados y en silencio, a sus santos al anochecer entre el sonido tenebroso de los tambores. Es la vieja España que se resiste a desaparecer. Nada más sobrecogedor que una de estas procesiones en la noche fría de Zamora, de Salamanca, de Palencia, de cualquier pueblo del Camino Francés castellano en Semana Santa. ¿Lo saben los peregrinos? Ninguna guía se lo cuenta.
¿Qué queda de la antigua religión, de las vanguardias católicas en los campos de batalla de toda Europa, en la España de los cuarenta millones de turistas, de las fiestas doradas hasta al amanecer, regadas por el vino y las enormes ganas de juerga de la juventud española? ¿Qué queda en una España que, dicen, ahora es Europa, una España “civilizada”? Nada o mucho, depende de tus pasos. La España rural, la España profunda (por donde discurren buena parte de los Caminos a Santiago) conserva aún parte de esa marca (en Galicia, en Santa Marta de Ribartame, llevan en procesión el día de Santa Marta a la capilla de la santa a los vivos que se encomendaron a ella y salvaron la vida. Lo que ocurre es que los llevan dentro de ataúdes -incluyendo niños-) En las ciudades, en la costa arrasada y turística de eso ni rastro, nada. Y depende de las gentes. La gente joven desprecia (o ignora) profundamente a la jerarquía católica.. Los mayores siguen reverenciando a sus sacerdotes, son los únicos que acuden a las iglesias. Esta es la situación general. Y sin perspectiva alguna de cambio.
Bien, ese es mi país, o una parte de mi país, al que para bien y para mal pertenezco y al que odio y amo profundamente, no podriá ser de otra manera, pero es el mío, soy español, gracias sean dadas.
¡Evohé!, ¡buen Camino!
(Leído en el muro de J.A. de la Riera en Facebook y reproducido por la calidad e interés de su publicación)
Introito
Mis amigos brasileños me pedís esto (y no sé si os ayudará algo, supongo que no) Y ahí os va una pequeña parte de la serie, si es que en serie esto se transforma. No incluyo, de momento, la parte gastronómica y de "costumbres", ya que aspiro a no ser más lapidado de lo que sea menester. Siendo gallego, se me ha achacado excesiva estima por todo lo castellano. Me importa un carallo, en Castilla, y bajo sus estrellas, es donde levanto mi tienda en la noche. Con Castilla sólo hace falta una cosa para amarla: conocerla.
Perderse un poco, no ir por la trilla. Y no sólo me refiero al Camino físico. Es difícil para un peregrino extranjero, generalmente con tiempo limitado, escabullirse a los lugares comunes, a lo que cuentan las guías al uso. Lo mejor que le puede ocurrir a las guías al uso es que el peregrino las tire antes de comenzar el Camino, la mayoría son infames, no se sostienen, no aportan casi nada. Cierto que hay un peregrino que se atiene a esas guías, al metro a metro del Camino, que no levanta la mirada del suelo, que se levanta temprano, camina, come, llega al refugio y duerme. Al día siguiente igual, y al otro y al otro. No se abre, generalmente sólo trata con peregrinos de su país. Es muy respetable, es incluso lógico para mucha gente. Pero el Camino es una aventura única, y es lamentable no abrirse, no intentar al menos que le llegue todo lo que el Camino le puede aportar. Lo que a continuación sigue le puede añadir muy poco a ese peregrino, mejor dicho, no le va a aportar nada. Escribo estas lineas para el inquieto, para el aventurero, para el que abre todos sus poros al conocimiento, a cualquier conocimiento. Naturalmente, no están libres de subjetividad, la objetividad no existe, ¿qué es lo objetivo, quién es objetivo?
¿Españoles? Unos tipos vestidos de “flamencos”, siempre con una guitarra en las manos. Además, se dedican a destripar toros bravos. ¿Argentinos? Unas gentes que viven de arrearles a las reses con “boleadoras” y que derraman lágrimas de cocodrilo con los tangos de Gardel. ¿Brasileños? Ya se sabe, futbol y samba. ¿Franceses? Gente de permanente mala leche devoradores de “foi”. ¿Portugueses? Unos depresivos cuyo único objetivo en la vida es llorar, preferiblemente con los fados de Amalia. Si uno va al Norte de España y habla de corridas de toros es posible que le lapiden (salvo en Pamplona). ¿Flamenco? Toda Galicia y Asturias son viejos países celtas, donde el instrumento tradicional es la gaita, el flamenco es allí algo tan exótico como la danza cosaca. Por lo mismo, hay argentinos que no soportan a Gardel y brasileños que pasan del futbol (y además, la música que oyen es la “clásica”) Hay franceses que han declarado la guerra a los ganaderos que engordan brutalmente sus patos. Y una inmensa mayoría de portugueses alegres, abiertos, a los que además les gustan los fados (como a mí ) Ah, los tópicos.
España es un viejo país europeo, definido por Ortega y Gasset, uno de sus grandes filósofos como: “Una enorme nube de polvo, lo que ha quedado después del paso de un gran pueblo al galope”. Un gran pueblo al galope. Cuando el peregrino pase por el más humilde pueblo de Castilla, pueblos con casas de barro (adobe), azotados por inviernos inclementes y por veranos aterradores (nueve meses de invierno y tres de infierno), cuando vea a sus campesinos silenciosos, no se debe engañar. Han sido el corazón de hierro de España. Gente de hierro que formaba la élite de las tropas de los Tercios que conquistaron Europa. Gente de hierro que fue con Pizarro, con Hernán Cortés, con Orellana. Gente que tomó Argel a cuchillo y que saqueó Roma con el gran Carlos.
Durante siglos, guerrearon contra los mejores ejércitos musulmanes. Solos, en mitad de la tierra de nadie, al pie de la inmensa llanura, secos, sobrios, juncales. Son los castellanos, gentes de pocas palabras, lo más parecido a un tuareg. Pero... ¿esa es la España que va a recorrer el peregrino? No. Es una de las Españas que va a recorrer el peregrino. El gran error, el tópico que identifica a los españoles con guitarras flamencas, corridas de toros, panderetas y baile andaluz ha provocado (y provoca) toneladas de carcajadas en España. Un andaluz poco tiene que ver con un asturiano (Camino Primitivo), gente de tez rubia (¿loira?), que bebe sidra, toca la gaita, odia los toros y vive en un país verde de montañas infinitas. Y un asturiano poco o nada tiene que ver con un extremeño (Vía de la Plata). Y por, supuesto, ninguno de ellos con un castellano (Camino Francés) Gentes muy diversas, culturas distintas, usos y costumbres por veces opuestos... unidos todos, eso sí, por una permanente mala leche, que produce en nosotros lo mejor y lo peor. Las Españas, algo instranferible y difícil de comprender por ahí fuera. Por eso conviene que el peregrino curioso sepa lo que va a encontrar... y lo aproveche. Es distinto el vino de Navarra del vino de Galicia, nada que ver el gazpacho andaluz con el caldo gallego, para un castellano un saludo es una leve inclinación de cabeza, el gallego, sin embargo, te abraza... ambos te ofrecen su máxima cordialidad, tal vez, pero cada uno a su manera.
¿Preguntas? Ahí van: ¿debo besar a una señora cuando me despido?. ¿ por qué los asturianos blasfeman continuamente y los castellanos jamás? y... ¿por qué ese andaluz me llama continuamente “hijo puta”?, ¿debo aceptarlo?, ¿es un insulto?. ¿Cuándo un gallego me invita a un vino me disculpo y me voy? Es importante, ya qué: una gallega acepta el beso inmediatamente, una castellana te extenderá simplemente la mano, no es costumbre besarse en Castilla, los asturianos son los más descreídos entre los españoles, con una tradición revolucionaria que llega a nuestros días, sin embargo cualquier blasfemia en Castilla puede suponer ser lapidado, un andaluz llama a todo el mundo “hijo puta” en sentido cariñoso (algo inimaginable en el resto de España), si un gallego te invita a un vino (y más si es un vino cosechado por el mismo) considera el mayor de los insultos tu rechazo...
Ahora bien, todo esto hay que aceptarlo con inteligencia. Chesterton lo explicó muy bien cuando le preguntaron por los franceses: “¿Los franceses? ... hummm... no los conozco a todos”
Bien, esto jamás lo cuentan las guías, las guías son para gente que tiene prisa. Así que iré por partes. Espero que os sean útiles estas notas sobre mi país. Claro que siempre habrá un componente subjetivo ¿quién es objetivo?, ¿qué es la objetividad? Por otra parte los españoles somos ferozmente críticos con nosotros mismos, estamos muy alejados del chauvinismo de otros países europeos. Espero que leáis esto con inteligencia y con humor, con mucho humor. Tal vez os ayude a entender a este viejo país de Europa que os va a acoger entre los suyos. Empezaré por lo más árido: La Religión.
Religión y espiritualidad en España.
“La reserva espiritual de Occidente”. Santos, místicos, guerreros que entraban en batalla con la cruz de Cristo por estandarte. Soldados que se arrodillaban antes de entrar en combate para recibir la bendición de sus capellanes, cientos, miles y miles, de ermitas, iglesias, monasterios... Teresa de Jesús, Juan de Ávila, Ignacio de Loyola, Isidoro de Sevilla... docenas de santos, santos guerreros, santos místicos, santos poetas... y un pueblo sobrecogido ante las enormes catedrales, toda la España campesina se arrodillaba en sus campos ante el toque del ángelus en las iglesias aldeanas... manos callosas se santiguaban. En paralelo, Religión de Estado, sombras vestidas de negro batiendo las antiguas rúas de Sevilla, de Toledo, de Salamanca... hogueras encendidas, la Inquisición por todas partes, Lutero no pasará, la antigua España de la convivencia, judíos, moros y cristianos, derrotada por el humo de las hogueras. Junto a la sencillez de las creencias populares el feroz control de la Contrarreforma, los Tercios de Castilla combatiendo en toda Europa contra los luteranos, Castilla se viste de negro, al anochecer se pasean cruces por la desolada meseta festejando las victorias... ¡ Dios es grande!... y Castilla su valedora en la tierra. Religión y Corona van de la mano. Pero luego resulta que aquí no se quemó ni la décima parte de las brujas que convirtieron esmeradamente en cenizas en Alemania o Inglaterra. Por eso, cuidado con las guías y con muchos de sus tópicos.
Todo esto fue, ha sido, pero.. ¿qué queda de ello? Prácticamente nada, quedan las ruinas de los monasterios, las catedrales, las pequeñas iglesias, los seminarios vacíos, la fe sencilla de mucha gente... en un Estado laico. Gente pasional que oscila de un extremo a otro, esos somos nosotros, para bien o para mal. Dos siglos de guerras civiles, dónde no hubo cuartel para nadie, dónde no se hacían prisioneros, fueron en realidad dos siglos de guerras de religión. Sangre y fuego para todos, así se arreglaron las cosas por aquí. Y ahora se ha llegado a un hastío y a un consenso: No más sangre para nadie, ya hubo demasiada por demasiados siglos; primero contra los musulmanes (ocho siglos a hierro y fuego y de paso, ¡ Santiago y Cierra España!), luego contra los luteranos, también contra la misma Roma cuando Roma se volvió débil (los Tercios de Carlos V la arrasaron en el siglo XVI, una semana de orgía de sangre con el Papa cercado y aterrado), y luego entre nosotros mismos... demasiada sangre por la cruz de Cristo. Nunca más.
El peregrino recorrerá la España rural y le llamará la atención las iglesias cerradas a piedra y lodo Querrá, tal vez, asistir a alguna misa, ver algún retablo, admirar una humilde iglesia (el Camino de Santiago es la maravilla del románico, está lleno, rebosante, de arte). Le resultará difícil, no hay curas, no hay párrocos, no hay vocaciones. La tierra que dio miles de misioneros al mundo se ha secado. Eso no sé si es bueno o es malo, pero es una realidad. Los seminarios están vacíos. Sigue en pie la piedad popular entre las personas ancianas, pero los jóvenes han abandonado las iglesias, para ellos la religión es arqueología. Lo que pasa es que de vez en cuando, las chispas de la antigua devoción aparecen en los lugares más impensables. En Semana Santa toda España se paraliza y las antiguas ciudades castellanas, los más humilde pueblos, se llenan de penitentes que, a la luz de las antorchas, pasean, descalzos, encapuchados y en silencio, a sus santos al anochecer entre el sonido tenebroso de los tambores. Es la vieja España que se resiste a desaparecer. Nada más sobrecogedor que una de estas procesiones en la noche fría de Zamora, de Salamanca, de Palencia, de cualquier pueblo del Camino Francés castellano en Semana Santa. ¿Lo saben los peregrinos? Ninguna guía se lo cuenta.
¿Qué queda de la antigua religión, de las vanguardias católicas en los campos de batalla de toda Europa, en la España de los cuarenta millones de turistas, de las fiestas doradas hasta al amanecer, regadas por el vino y las enormes ganas de juerga de la juventud española? ¿Qué queda en una España que, dicen, ahora es Europa, una España “civilizada”? Nada o mucho, depende de tus pasos. La España rural, la España profunda (por donde discurren buena parte de los Caminos a Santiago) conserva aún parte de esa marca (en Galicia, en Santa Marta de Ribartame, llevan en procesión el día de Santa Marta a la capilla de la santa a los vivos que se encomendaron a ella y salvaron la vida. Lo que ocurre es que los llevan dentro de ataúdes -incluyendo niños-) En las ciudades, en la costa arrasada y turística de eso ni rastro, nada. Y depende de las gentes. La gente joven desprecia (o ignora) profundamente a la jerarquía católica.. Los mayores siguen reverenciando a sus sacerdotes, son los únicos que acuden a las iglesias. Esta es la situación general. Y sin perspectiva alguna de cambio.
Bien, ese es mi país, o una parte de mi país, al que para bien y para mal pertenezco y al que odio y amo profundamente, no podriá ser de otra manera, pero es el mío, soy español, gracias sean dadas.
¡Evohé!, ¡buen Camino!
(Leído en el muro de J.A. de la Riera en Facebook y reproducido por la calidad e interés de su publicación)
Camino Aragonés
El nuevo Hospital de Peregrinos de Huesca abre sus puertas
Huesca.- En la semana en la que se conmemoran los ocho siglos de la consagración de la Catedral de Compostela, meta de los peregrinos, la Asociación Oscense de Amigos del Camino de Santiago ha abierto las puertas del nuevo Hospital de Peregrinos, inaugurado a finales del pasado mes, y por el que ya han pasado ocho peregrinos.
Tras más de una década de escollos y dificultades, Huesca cuenta con un refugio para que quienes recorren el Camino de Santiago puedan descansar en condiciones y gratis. Con éste ya serán seis los alojamientos para peregrinos de la Comarca de la Hoya de Huesca, en el Camino Aragonés, junto a Pertusa, Bolea, Sarsamarcuello, Pueyo de Fañanás y Ena.
El hospital oscense llevará el nombre de San Galindo, el primer santo hospitalero de Europa y cuyos restos descansan en la ermita de Salas.
Muchos asistentes al acto acudieron luego a Salas, donde Bizén d´o Río explicó que fue el primero que se hizo cargo del Hospital de la Limosna y el de Peregrinos. Sus restos fueron enterrados en la parte trasera de la ermita mientras estaba en construcción, empleada como cementerio para las personas que fallecían, tanto leprosos como peregrinos.
Este espacio permaneció descubierto hasta que Enrique Sánchez Carrasco se encargó del cerramiento de esta parte y de unas pinturas románicas importantes. D´o Río valoró el esfuerzo de la asociación y de la Comarca a través del Plan de Dinamización del Producto Turístico, que también han seguido otras zonas, para recuperar este "recorrido histórico turístico que no podemos dejar perder y que cada año va a más".
Decenas de personas, muchos de ellos peregrinos, de Huesca, Zaragoza y Cataluña llegaron hasta el Hospital, situado en la calle Valentín Gardeta para verlo por dentro y todos coincidieron en valorar las excelentes instalaciones y demandaron el esfuerzo promocional para darlo a conocer. Durante la jornada de puertas abiertas, el vicario de la Diócesis, Nicolás López, bendijo las instalaciones y durante la oración previa pidió a las personas que empleen estas instalaciones que las conviertan en un "hogar de caridad desde el que se difunda ampliamente la palabra de Cristo".
También acudieron al acto distintas autoridades políticas, entre las que destacaron el alcalde de Huesca, Luis Felipe; el presidente de la Comarca de la Hoya de Huesca, Pedro Bergua -el primero cedió el edificio y el segundo ha aportado el equipamiento-; y el consejero de Industria, Comercio y Turismo del Gobierno de Aragón, Arturo Aliaga, quien ya participó en la inauguración oficial y habló de futuros proyectos, como la posible recuperación de la ruta que antes llegaba desde Francia hasta Boltaña y comunicarla hasta Puente La Reina. El Hospital de Huesca lo calificó como un "icono" en "la ruta cultural más importante del mundo". Con asociaciones "fuertes" como la de Huesca, "con ganas de hacer cosas", "tenemos que estar detrás de ellos", para dotar de infraestructuras a hospitales como estos.
Una vez abierto, y de cara al verano, cuando aumente el flujo de peregrinos, el Hospital de Peregrinos de Huesca requiere la colaboración para su mantenimiento de hospitaleros voluntarios. El único requisito para ser hospitalero es haber hecho la peregrinación a Santiago y querer dedicar tu tiempo y capacidades de modo altruista a la acogida, tras un cursillo preparatorio. Por ahora, ya hay un grupo de Cataluña interesado, señaló su presidente, Julio Aznar.
A la espera de estos voluntarios, la asociación oscense, encargada de la gestión del resto de refugios de la comarca, ultima pequeños detalles para dejar este espacio equipado, como un cerramiento para que los ciclistas dejen sus bicicletas. Mientras, la asociación se mueve para poner en marcha proyectos como la creación de una marca propia para el camino jacobeo.
Tras más de una década de escollos y dificultades, Huesca cuenta con un refugio para que quienes recorren el Camino de Santiago puedan descansar en condiciones y gratis. Con éste ya serán seis los alojamientos para peregrinos de la Comarca de la Hoya de Huesca, en el Camino Aragonés, junto a Pertusa, Bolea, Sarsamarcuello, Pueyo de Fañanás y Ena.
El hospital oscense llevará el nombre de San Galindo, el primer santo hospitalero de Europa y cuyos restos descansan en la ermita de Salas.
Muchos asistentes al acto acudieron luego a Salas, donde Bizén d´o Río explicó que fue el primero que se hizo cargo del Hospital de la Limosna y el de Peregrinos. Sus restos fueron enterrados en la parte trasera de la ermita mientras estaba en construcción, empleada como cementerio para las personas que fallecían, tanto leprosos como peregrinos.
Este espacio permaneció descubierto hasta que Enrique Sánchez Carrasco se encargó del cerramiento de esta parte y de unas pinturas románicas importantes. D´o Río valoró el esfuerzo de la asociación y de la Comarca a través del Plan de Dinamización del Producto Turístico, que también han seguido otras zonas, para recuperar este "recorrido histórico turístico que no podemos dejar perder y que cada año va a más".
Decenas de personas, muchos de ellos peregrinos, de Huesca, Zaragoza y Cataluña llegaron hasta el Hospital, situado en la calle Valentín Gardeta para verlo por dentro y todos coincidieron en valorar las excelentes instalaciones y demandaron el esfuerzo promocional para darlo a conocer. Durante la jornada de puertas abiertas, el vicario de la Diócesis, Nicolás López, bendijo las instalaciones y durante la oración previa pidió a las personas que empleen estas instalaciones que las conviertan en un "hogar de caridad desde el que se difunda ampliamente la palabra de Cristo".
También acudieron al acto distintas autoridades políticas, entre las que destacaron el alcalde de Huesca, Luis Felipe; el presidente de la Comarca de la Hoya de Huesca, Pedro Bergua -el primero cedió el edificio y el segundo ha aportado el equipamiento-; y el consejero de Industria, Comercio y Turismo del Gobierno de Aragón, Arturo Aliaga, quien ya participó en la inauguración oficial y habló de futuros proyectos, como la posible recuperación de la ruta que antes llegaba desde Francia hasta Boltaña y comunicarla hasta Puente La Reina. El Hospital de Huesca lo calificó como un "icono" en "la ruta cultural más importante del mundo". Con asociaciones "fuertes" como la de Huesca, "con ganas de hacer cosas", "tenemos que estar detrás de ellos", para dotar de infraestructuras a hospitales como estos.
Una vez abierto, y de cara al verano, cuando aumente el flujo de peregrinos, el Hospital de Peregrinos de Huesca requiere la colaboración para su mantenimiento de hospitaleros voluntarios. El único requisito para ser hospitalero es haber hecho la peregrinación a Santiago y querer dedicar tu tiempo y capacidades de modo altruista a la acogida, tras un cursillo preparatorio. Por ahora, ya hay un grupo de Cataluña interesado, señaló su presidente, Julio Aznar.
A la espera de estos voluntarios, la asociación oscense, encargada de la gestión del resto de refugios de la comarca, ultima pequeños detalles para dejar este espacio equipado, como un cerramiento para que los ciclistas dejen sus bicicletas. Mientras, la asociación se mueve para poner en marcha proyectos como la creación de una marca propia para el camino jacobeo.
sábado, 7 de mayo de 2011
Testimonios Peregrinos
El “glorioso” arte de la bordonería contemporánea
por José Ignacio Frías Solar
A lo largo de la historia del Camino, siempre existió, la figura del “bordonero”, al que yo también llamo “peregrino profesional”. Personajes como Domenico Laffi, Manier, hasta casi el contemporáneo Walter Starkie, peregrinaron para ganarse la vida, unos por encargo de gente adinerada que subvencionaba la peregrinación y de esta manera expiar sus pecados y otros como forma de vivir por la “cara”, trapicheando con reliquias (¿Cuántos trozos de la Cruz de Cristo, hay repartidos por el mundo? La cruz desde luego no daba para tanto).
Hasta escribieron guías, más que guías diría “manuales” de peregrinación, en los cuales se menciona incluso la calidad y cantidad de las raciones que se daban al peregrino en los diferentes monasterio y hospitales.
No sólo en lo que conocemos como Camino Francés. Esta gente podrías encontrártela incluso a más de 400 km. de la ruta, como es el caso de los peregrinos franceses que aparecen citados en El Quijote allá por Cuenca más o menos, viéndose las autoridades obligadas a sacar edictos contra este tipo de personajes si se les encontraba a determinadas distancias fuera de la vereda.
En la actualidad, pasa algo parecido, sigue existiendo la figura del “profesional”, sólo que ahora ha cambiado su traje “talar”, por una mochila y un calzado mucho más acorde con las circunstancias actuales.Condiciones y aspectos que debe tener el “bordonero” contemporáneo, a saber:
– Mochila enorme, cuanto mas grande mejor, a ser posible de aquellas canadienses de tubos, el peso les da igual, puesto que caminan poco aprovechando incluso el auto-stop, que es una forma muy socorrida y barata de hacer el Camino.
– Indumentaria, con cierto o bastante “desaliño” para dar un aspecto austero a veces incluso de “penitente".
– Tocado de cabeza, a ser posible del tipo de sombrero “australiano”, eso si con muchos, muchísimos “pines” (esto es fundamental) casi como condecoraciones para de esa manera dar a entender al “neófito” o “pringao”, que viene como muy cerca, por lo menos desde Jerusalén.
– El bordón, cuanto mas largo y mas grueso, muchísimo mejor, eso si, lleno de plumas de ave, de cordoncitos, de escapularios y un largo etc de cosas que para nadie tienen sentido. No importa porque cuando preguntes, él tendrá explicación para toda la “parafernalia”. Argumentará que el bordón lo corto el mismo con sus propias manos de un olivo que encontró tirado en Tierra Santa.
-La historia, aspecto fundamental este, cualquier bordonero que se precie ha de tener una y a ser posible de lo más “truculenta”, Deberá ir acompañada de la documentación necesaria. Fotocopia de una entrevista en un periódico local, foto sacada a “traición” con algún personaje conocido etc. (podrá ser intercambiada o modificada al gusto al pasar de los años con algún otro “profesional”, ya se sabe, por la buena marcha del negocio y no “pisarnos” los clientes).
-Los objetivos deben estar muy claros. Esperar al “pringao” o la “pringada” (si es mujer, mucho mejor, que ya se sabe que son mucho más sensibles y menos violentas, que un “macho” que te puede meter dos “hostias” en cuanto te cale), a la puerta del Albergue, por eso hay que andar listos y llegar de los primeros.
– Estrategia, poner cara de “paniaguado”, casi de místico diría yo. Acercarse al sujeto/a y pedirle, que si por favor no le importa y le sobra algo de comer, que se lo de , pues lleva ya días sin meter nada caliente al cuerpo, dado que el dinero se le va acabando puesto que viene de las “kimbambas” por lo menos. !Ojo!, nunca pedir dinero de entrada y si se lo ofrecen, rechazarlo indignado (ya habrá más días para reclamarlo si es menester).
Una vez establecido el contacto “fraterno”, se saca la “historia” y la fotocopia, y si esto da un resultado positivo se ofrece uno a caminar juntos, de lo contrario a otra cosa, sin más, no conviene insistir. Si la compañía elegida es femenina se procurará que sea mayor de edad, pues ya se sabe que en el camino a veces se nos dispara el “Diablo meridiano” y eso nos podría traer complicaciones en el caso de una menor. Y una vez que ya esté todo hilvanado, la tarea consistirá en comer, fumar, beber, protestar por lo que cobran en los albergues, despotricar contra los que no son peregrinos y cuando menos lo espere, sobre todo la “pringada”, comenzar con el “acoso y derribo” y luego desaparecer como si la tierra se lo hubiese tragado…
por José Ignacio Frías Solar
A lo largo de la historia del Camino, siempre existió, la figura del “bordonero”, al que yo también llamo “peregrino profesional”. Personajes como Domenico Laffi, Manier, hasta casi el contemporáneo Walter Starkie, peregrinaron para ganarse la vida, unos por encargo de gente adinerada que subvencionaba la peregrinación y de esta manera expiar sus pecados y otros como forma de vivir por la “cara”, trapicheando con reliquias (¿Cuántos trozos de la Cruz de Cristo, hay repartidos por el mundo? La cruz desde luego no daba para tanto).
Hasta escribieron guías, más que guías diría “manuales” de peregrinación, en los cuales se menciona incluso la calidad y cantidad de las raciones que se daban al peregrino en los diferentes monasterio y hospitales.
No sólo en lo que conocemos como Camino Francés. Esta gente podrías encontrártela incluso a más de 400 km. de la ruta, como es el caso de los peregrinos franceses que aparecen citados en El Quijote allá por Cuenca más o menos, viéndose las autoridades obligadas a sacar edictos contra este tipo de personajes si se les encontraba a determinadas distancias fuera de la vereda.
En la actualidad, pasa algo parecido, sigue existiendo la figura del “profesional”, sólo que ahora ha cambiado su traje “talar”, por una mochila y un calzado mucho más acorde con las circunstancias actuales.Condiciones y aspectos que debe tener el “bordonero” contemporáneo, a saber:
– Mochila enorme, cuanto mas grande mejor, a ser posible de aquellas canadienses de tubos, el peso les da igual, puesto que caminan poco aprovechando incluso el auto-stop, que es una forma muy socorrida y barata de hacer el Camino.
– Indumentaria, con cierto o bastante “desaliño” para dar un aspecto austero a veces incluso de “penitente".
– Tocado de cabeza, a ser posible del tipo de sombrero “australiano”, eso si con muchos, muchísimos “pines” (esto es fundamental) casi como condecoraciones para de esa manera dar a entender al “neófito” o “pringao”, que viene como muy cerca, por lo menos desde Jerusalén.
– El bordón, cuanto mas largo y mas grueso, muchísimo mejor, eso si, lleno de plumas de ave, de cordoncitos, de escapularios y un largo etc de cosas que para nadie tienen sentido. No importa porque cuando preguntes, él tendrá explicación para toda la “parafernalia”. Argumentará que el bordón lo corto el mismo con sus propias manos de un olivo que encontró tirado en Tierra Santa.
-La historia, aspecto fundamental este, cualquier bordonero que se precie ha de tener una y a ser posible de lo más “truculenta”, Deberá ir acompañada de la documentación necesaria. Fotocopia de una entrevista en un periódico local, foto sacada a “traición” con algún personaje conocido etc. (podrá ser intercambiada o modificada al gusto al pasar de los años con algún otro “profesional”, ya se sabe, por la buena marcha del negocio y no “pisarnos” los clientes).
-Los objetivos deben estar muy claros. Esperar al “pringao” o la “pringada” (si es mujer, mucho mejor, que ya se sabe que son mucho más sensibles y menos violentas, que un “macho” que te puede meter dos “hostias” en cuanto te cale), a la puerta del Albergue, por eso hay que andar listos y llegar de los primeros.
– Estrategia, poner cara de “paniaguado”, casi de místico diría yo. Acercarse al sujeto/a y pedirle, que si por favor no le importa y le sobra algo de comer, que se lo de , pues lleva ya días sin meter nada caliente al cuerpo, dado que el dinero se le va acabando puesto que viene de las “kimbambas” por lo menos. !Ojo!, nunca pedir dinero de entrada y si se lo ofrecen, rechazarlo indignado (ya habrá más días para reclamarlo si es menester).
Una vez establecido el contacto “fraterno”, se saca la “historia” y la fotocopia, y si esto da un resultado positivo se ofrece uno a caminar juntos, de lo contrario a otra cosa, sin más, no conviene insistir. Si la compañía elegida es femenina se procurará que sea mayor de edad, pues ya se sabe que en el camino a veces se nos dispara el “Diablo meridiano” y eso nos podría traer complicaciones en el caso de una menor. Y una vez que ya esté todo hilvanado, la tarea consistirá en comer, fumar, beber, protestar por lo que cobran en los albergues, despotricar contra los que no son peregrinos y cuando menos lo espere, sobre todo la “pringada”, comenzar con el “acoso y derribo” y luego desaparecer como si la tierra se lo hubiese tragado…
Campus Stellae
La Catedral santiaguesa cumple sus primeros ocho siglos
Por Cándido de Paz
Santiago.- Tal y como estaba programado, con unos días de retraso sobre la fecha auténtica, la Catedral compostelana ha celebrado sus primeros ocho siglos desde la consagración, en 1211, con un ceremonia espectacular en la que no han faltado algunos de los objetos utilizados en aquella ocasión.
Era entonces arzobispo Pedro Muñiz y el acto lo presidió Alfonso IX, su hijo Fernando, futuro rey Santo, además de los obispos de Orense, Lugo, Mondoñedo, Tuy, Coria, La Guardia, Évora, Lisboa y Lamego. Y por supuesto los principales nobles de aquella época.
Ahora, 800 años después, han estado presentes varios centenares de personas y numerosas autoridades eclesiásticas, civiles y militares que han seguido la Misa de la Dedicación, eucaristía con la que, según el arzobispo Julián Barrio, "la historia de la Catedral se hace historia viva".
No han estado esta vez los Reyes, pero si el presidente regional, Alberto Núñez Feijóo; el alcalde compostelano, José Sánchez Bugallo; y el teniente general Juan Enrique Aparicio Hernández-Lastras; así como los prelados gallegos, el Cabildo del templo, y un buen número de sacerdotes. Y también -¿cómo no?- un determinado número de peregrinos.
Antes de nada se ha celebrado la procesión de nominada 'Itinerario Crucis', que ha recorrido el templo conmemorando el rito de la dedicación de la Catedral compostelana la mañana del 3 de abril de 1211. Y en esa procesión han desfilado ante las 12 cruces de Consagración que permanecen iluminadas con velas en distintas zonas de la Catedral, mientras la Escolanía y la Música cantaban las escrituras.
Pero lo más llamativo de la solemnidad seguramente no fueron las cruces, sino la imagen sedente que continuamente abrazamos. López Ferreiro ve motivos para afirmar que fue erigida por encima del sepulcro apostólico precisamente en esta ocasión. Los peregrinos de los primeros siglos sólo tenían ante los ojos el mausoleo romano que contiene el cuerpo del Apóstol y se postraban ante él. Gelmírez lo redujo el mausoleo al zócalo o cámara sepulcral, sobreponiendo un baldaquino, y seguramente fue necesario avisar en voz alta: "Aquí, bajo el altar, está el cuerpo del Apóstol".
De la liturgia de la consagración de iglesias, ya vigente desde el siglo XI, formaba parte la traslación procesional de reliquias y la consagración singularizada del altar. En nuestro caso, las reliquias (nada menos que el cuerpo del Apóstol) ya estaban presentes y el altar ya había sido consagrado por Gelmírez.
¿Qué podía ofrecerse al pueblo que despertara verdadero interés? La cosa estuvo bien pensada: una imagen sedente, cercana e inspiradora de confianza; los fieles podrían verla de cerca, tocarla y abrazarla. La estatua era sobria, de piedra policromada que había de exigir sucesivos repintes... hasta alcanzar varios milímetros de espesor, con mengua de la expresividad: ojos abultados que apenas miran, rostro vulgarmente redondeado...
Para más abundamiento, el Arzobispo Monroy la ornamentó con maravillosa esclavina de plata enriquecida con pedrería. El conjunto quedó completo con el bordón. A López Ferreiro lo del bordón no le parece afortunado: considera que es propio de caminantes y no de individuos sentados; y no cae en la cuenta de que los caminantes también se sientan sin dar de lado al bordón. Si nuestro Apóstol permanece siempre con él, es para consuelo de los peregrinos, identificándose con ellos.
En algunas miniaturas medievales el Apóstol sedente luce, además, el clásico sombrero con conchas. ¿Fue así? Que yo sepa, a nadie se le ha ocurrido, hasta el momento, encasquetarle tal sombrero.
Cuando Ambrosio de Morales vino a Santiago a finales del XV, se encontró la estatua un tanto distinta de como hoy la vemos: con la mano derecha daba la bendición y con la izquierda sostenía un libro. Hoy el libro se ve sustituido por el bordón, y la mano sostiene un tarjetón que dice lo que traduzco: Aquí está el cuerpo de Santiago, Apóstol y Patrón de las Españas. Así, desde abril de 1211 los peregrinos pudieron ver de cerca y abrazar esta imagen del Apóstol.
Posteriormente, el arzobispo Barrio ha oficiado la misa, acorde al canon romano y sin ninguna incidencia, ante la atenta mirada de los asistentes y numerosos peregrinos emocionados. En su homilía, Barrio ha dicho que esta "fiesta de la Dedicación" recuerda que el templo "es un lugar de oración", una "parábola de la existencia de Dios" cuya "belleza y armonía" invitan a "limitados y pecadores" a "convertirse para formar un cosmos en estrecha comunión con Cristo".
También ha dicho que la Catedral es un espacio "abierto" que invita a todo el mundo a rezar "al único Dios" y ha echado en "falta altura humana y espiritual" para afrontar el "reto religioso, cultural, social, económico y político" de la sociedad actual.
Los actos habían estado precedidos por unas Vísperas Solemnes el viernes, con una procesión formada por el arzobispo, obispos y canónigos, vestidos con la capa pluvial; los diáconos, con dalmáticas, y los sacerdotes, vestidos con alba y estola blanca. Participó la orquesta Capela Compostelana y solistas con la colaboración del órgano bajo la dirección de Miro Moreira. Y se pudieron escuchar obras de distintas épocas, como el salmo Dixit Dominus del maestro de capilla, José de Vaquedano, con lo que también se conmemoraba el tercer centenario de su muerte.
Además, coincidiendo con el octavo centenario, se ha sabido que la web 'Libro de Pedra', programada por la Consejería de Cultura y Turismo, que permite el recorrido virtual a la Catedral de Santiago, ha recibido más de 32.000 visitas desde su puesta en marcha el pasado mes de febrero. La web se ha enmarcado en el proyecto europeo 'Loci Iacobi. Lugares de Santiago. Lieux de Saint Jacques' de revitalización de la Ruta Jacobea.
La aplicación permite conocer en profundidad la historia de la Catedral a través de 60.000 fotografías de alta resolución en el que se incluyen imágenes en 360 grados.
Pero lo más llamativo de la solemnidad seguramente no fueron las cruces, sino la imagen sedente que continuamente abrazamos. López Ferreiro ve motivos para afirmar que fue erigida por encima del sepulcro apostólico precisamente en esta ocasión. Los peregrinos de los primeros siglos sólo tenían ante los ojos el mausoleo romano que contiene el cuerpo del Apóstol y se postraban ante él. Gelmírez lo redujo el mausoleo al zócalo o cámara sepulcral, sobreponiendo un baldaquino, y seguramente fue necesario avisar en voz alta: "Aquí, bajo el altar, está el cuerpo del Apóstol".
De la liturgia de la consagración de iglesias, ya vigente desde el siglo XI, formaba parte la traslación procesional de reliquias y la consagración singularizada del altar. En nuestro caso, las reliquias (nada menos que el cuerpo del Apóstol) ya estaban presentes y el altar ya había sido consagrado por Gelmírez.
¿Qué podía ofrecerse al pueblo que despertara verdadero interés? La cosa estuvo bien pensada: una imagen sedente, cercana e inspiradora de confianza; los fieles podrían verla de cerca, tocarla y abrazarla. La estatua era sobria, de piedra policromada que había de exigir sucesivos repintes... hasta alcanzar varios milímetros de espesor, con mengua de la expresividad: ojos abultados que apenas miran, rostro vulgarmente redondeado...
Para más abundamiento, el Arzobispo Monroy la ornamentó con maravillosa esclavina de plata enriquecida con pedrería. El conjunto quedó completo con el bordón. A López Ferreiro lo del bordón no le parece afortunado: considera que es propio de caminantes y no de individuos sentados; y no cae en la cuenta de que los caminantes también se sientan sin dar de lado al bordón. Si nuestro Apóstol permanece siempre con él, es para consuelo de los peregrinos, identificándose con ellos.
En algunas miniaturas medievales el Apóstol sedente luce, además, el clásico sombrero con conchas. ¿Fue así? Que yo sepa, a nadie se le ha ocurrido, hasta el momento, encasquetarle tal sombrero.
Cuando Ambrosio de Morales vino a Santiago a finales del XV, se encontró la estatua un tanto distinta de como hoy la vemos: con la mano derecha daba la bendición y con la izquierda sostenía un libro. Hoy el libro se ve sustituido por el bordón, y la mano sostiene un tarjetón que dice lo que traduzco: Aquí está el cuerpo de Santiago, Apóstol y Patrón de las Españas. Así, desde abril de 1211 los peregrinos pudieron ver de cerca y abrazar esta imagen del Apóstol.
Por Cándido de Paz
Santiago.- Tal y como estaba programado, con unos días de retraso sobre la fecha auténtica, la Catedral compostelana ha celebrado sus primeros ocho siglos desde la consagración, en 1211, con un ceremonia espectacular en la que no han faltado algunos de los objetos utilizados en aquella ocasión.
Era entonces arzobispo Pedro Muñiz y el acto lo presidió Alfonso IX, su hijo Fernando, futuro rey Santo, además de los obispos de Orense, Lugo, Mondoñedo, Tuy, Coria, La Guardia, Évora, Lisboa y Lamego. Y por supuesto los principales nobles de aquella época.
Ahora, 800 años después, han estado presentes varios centenares de personas y numerosas autoridades eclesiásticas, civiles y militares que han seguido la Misa de la Dedicación, eucaristía con la que, según el arzobispo Julián Barrio, "la historia de la Catedral se hace historia viva".
No han estado esta vez los Reyes, pero si el presidente regional, Alberto Núñez Feijóo; el alcalde compostelano, José Sánchez Bugallo; y el teniente general Juan Enrique Aparicio Hernández-Lastras; así como los prelados gallegos, el Cabildo del templo, y un buen número de sacerdotes. Y también -¿cómo no?- un determinado número de peregrinos.
Antes de nada se ha celebrado la procesión de nominada 'Itinerario Crucis', que ha recorrido el templo conmemorando el rito de la dedicación de la Catedral compostelana la mañana del 3 de abril de 1211. Y en esa procesión han desfilado ante las 12 cruces de Consagración que permanecen iluminadas con velas en distintas zonas de la Catedral, mientras la Escolanía y la Música cantaban las escrituras.
Pero lo más llamativo de la solemnidad seguramente no fueron las cruces, sino la imagen sedente que continuamente abrazamos. López Ferreiro ve motivos para afirmar que fue erigida por encima del sepulcro apostólico precisamente en esta ocasión. Los peregrinos de los primeros siglos sólo tenían ante los ojos el mausoleo romano que contiene el cuerpo del Apóstol y se postraban ante él. Gelmírez lo redujo el mausoleo al zócalo o cámara sepulcral, sobreponiendo un baldaquino, y seguramente fue necesario avisar en voz alta: "Aquí, bajo el altar, está el cuerpo del Apóstol".
De la liturgia de la consagración de iglesias, ya vigente desde el siglo XI, formaba parte la traslación procesional de reliquias y la consagración singularizada del altar. En nuestro caso, las reliquias (nada menos que el cuerpo del Apóstol) ya estaban presentes y el altar ya había sido consagrado por Gelmírez.
¿Qué podía ofrecerse al pueblo que despertara verdadero interés? La cosa estuvo bien pensada: una imagen sedente, cercana e inspiradora de confianza; los fieles podrían verla de cerca, tocarla y abrazarla. La estatua era sobria, de piedra policromada que había de exigir sucesivos repintes... hasta alcanzar varios milímetros de espesor, con mengua de la expresividad: ojos abultados que apenas miran, rostro vulgarmente redondeado...
Para más abundamiento, el Arzobispo Monroy la ornamentó con maravillosa esclavina de plata enriquecida con pedrería. El conjunto quedó completo con el bordón. A López Ferreiro lo del bordón no le parece afortunado: considera que es propio de caminantes y no de individuos sentados; y no cae en la cuenta de que los caminantes también se sientan sin dar de lado al bordón. Si nuestro Apóstol permanece siempre con él, es para consuelo de los peregrinos, identificándose con ellos.
En algunas miniaturas medievales el Apóstol sedente luce, además, el clásico sombrero con conchas. ¿Fue así? Que yo sepa, a nadie se le ha ocurrido, hasta el momento, encasquetarle tal sombrero.
Cuando Ambrosio de Morales vino a Santiago a finales del XV, se encontró la estatua un tanto distinta de como hoy la vemos: con la mano derecha daba la bendición y con la izquierda sostenía un libro. Hoy el libro se ve sustituido por el bordón, y la mano sostiene un tarjetón que dice lo que traduzco: Aquí está el cuerpo de Santiago, Apóstol y Patrón de las Españas. Así, desde abril de 1211 los peregrinos pudieron ver de cerca y abrazar esta imagen del Apóstol.
Posteriormente, el arzobispo Barrio ha oficiado la misa, acorde al canon romano y sin ninguna incidencia, ante la atenta mirada de los asistentes y numerosos peregrinos emocionados. En su homilía, Barrio ha dicho que esta "fiesta de la Dedicación" recuerda que el templo "es un lugar de oración", una "parábola de la existencia de Dios" cuya "belleza y armonía" invitan a "limitados y pecadores" a "convertirse para formar un cosmos en estrecha comunión con Cristo".
También ha dicho que la Catedral es un espacio "abierto" que invita a todo el mundo a rezar "al único Dios" y ha echado en "falta altura humana y espiritual" para afrontar el "reto religioso, cultural, social, económico y político" de la sociedad actual.
Los actos habían estado precedidos por unas Vísperas Solemnes el viernes, con una procesión formada por el arzobispo, obispos y canónigos, vestidos con la capa pluvial; los diáconos, con dalmáticas, y los sacerdotes, vestidos con alba y estola blanca. Participó la orquesta Capela Compostelana y solistas con la colaboración del órgano bajo la dirección de Miro Moreira. Y se pudieron escuchar obras de distintas épocas, como el salmo Dixit Dominus del maestro de capilla, José de Vaquedano, con lo que también se conmemoraba el tercer centenario de su muerte.
Además, coincidiendo con el octavo centenario, se ha sabido que la web 'Libro de Pedra', programada por la Consejería de Cultura y Turismo, que permite el recorrido virtual a la Catedral de Santiago, ha recibido más de 32.000 visitas desde su puesta en marcha el pasado mes de febrero. La web se ha enmarcado en el proyecto europeo 'Loci Iacobi. Lugares de Santiago. Lieux de Saint Jacques' de revitalización de la Ruta Jacobea.
La aplicación permite conocer en profundidad la historia de la Catedral a través de 60.000 fotografías de alta resolución en el que se incluyen imágenes en 360 grados.
Pero lo más llamativo de la solemnidad seguramente no fueron las cruces, sino la imagen sedente que continuamente abrazamos. López Ferreiro ve motivos para afirmar que fue erigida por encima del sepulcro apostólico precisamente en esta ocasión. Los peregrinos de los primeros siglos sólo tenían ante los ojos el mausoleo romano que contiene el cuerpo del Apóstol y se postraban ante él. Gelmírez lo redujo el mausoleo al zócalo o cámara sepulcral, sobreponiendo un baldaquino, y seguramente fue necesario avisar en voz alta: "Aquí, bajo el altar, está el cuerpo del Apóstol".
De la liturgia de la consagración de iglesias, ya vigente desde el siglo XI, formaba parte la traslación procesional de reliquias y la consagración singularizada del altar. En nuestro caso, las reliquias (nada menos que el cuerpo del Apóstol) ya estaban presentes y el altar ya había sido consagrado por Gelmírez.
¿Qué podía ofrecerse al pueblo que despertara verdadero interés? La cosa estuvo bien pensada: una imagen sedente, cercana e inspiradora de confianza; los fieles podrían verla de cerca, tocarla y abrazarla. La estatua era sobria, de piedra policromada que había de exigir sucesivos repintes... hasta alcanzar varios milímetros de espesor, con mengua de la expresividad: ojos abultados que apenas miran, rostro vulgarmente redondeado...
Para más abundamiento, el Arzobispo Monroy la ornamentó con maravillosa esclavina de plata enriquecida con pedrería. El conjunto quedó completo con el bordón. A López Ferreiro lo del bordón no le parece afortunado: considera que es propio de caminantes y no de individuos sentados; y no cae en la cuenta de que los caminantes también se sientan sin dar de lado al bordón. Si nuestro Apóstol permanece siempre con él, es para consuelo de los peregrinos, identificándose con ellos.
En algunas miniaturas medievales el Apóstol sedente luce, además, el clásico sombrero con conchas. ¿Fue así? Que yo sepa, a nadie se le ha ocurrido, hasta el momento, encasquetarle tal sombrero.
Cuando Ambrosio de Morales vino a Santiago a finales del XV, se encontró la estatua un tanto distinta de como hoy la vemos: con la mano derecha daba la bendición y con la izquierda sostenía un libro. Hoy el libro se ve sustituido por el bordón, y la mano sostiene un tarjetón que dice lo que traduzco: Aquí está el cuerpo de Santiago, Apóstol y Patrón de las Españas. Así, desde abril de 1211 los peregrinos pudieron ver de cerca y abrazar esta imagen del Apóstol.
miércoles, 4 de mayo de 2011
Camino Francés
Galicia firma con Portugal y Francia una Federación Europea de los Caminos pero ignora a otras regiones españolas y países de Europa
Santiago.- Galicia, Portugal y Francia han creado una Federación Europea de los Caminos de Santiago, que, de acuerdo con sus estatutos «tiene como objeto reunir a las colectividades territoriales del continente atravesadas por las rutas jacobeas alrededor de una promoción conjunta cultural y turística de las mismas, tratándose de un patrimonio que comparten desde hace varios siglos».
«Recobrado el fuerte dinamismo (de la peregrinación al sepulcro del Apóstol) es necesario –se lee en el documento- diseñar una estructura formal de colaboración a fin de promover intercambios permanentes y de coordinar, alrededor del propósito común político e institucional, las acciones de organización y puesta en valor» de los senderos que conducen a Compostela.
A la firma del acuerdo asistieron por el Gobierno gallego, el consejero Roberto Varela, y, por Francia Laurent Wauquiez, ministro de Asuntos Europeos y alcalde de Le-Puy-en-Vélay, escenario de la ceremonia.
Al encontrarse en funciones, por el Ejecutivo luso no suscribió el pacto ningún ministro, sino una alto cargo llamada Elvira Pacheco.
En cambio, en una acción difícil de justificar, el gobierno regional gallego no ha incluido en este convenio a ninguna de las regiones españolas por las que pasan las rutas jacobeas, que en conjunto suman muchos cientos de kilómetros de senderos y decenas de municipios atravesados por los caminos que usan los peregrinos.
Además, el ejecutivo regional gallego se ha abrogado la representación de toda España en un acto que incluye a estados y que también excluye a otras muchas naciones europeas comprometidas con el desarrollo del Camino de Santiago, de las que proceden muchos de los peregrinos que culminan en Compostela sus peregrinaciones.
Dentro de las medidas de propaganda del gobierno gallego, ha anunciado que planea firmar próximamente con alcaldes de 118 concellos de su región sendos conciertos de cooperación por valor de más de 800.000 euros, para financiar trabajos desbroce y limpieza en el Camino este año.
Sin embargo, sigue permitiendo que en muchos municipios del Camino se produzcan agresiones y alteraciones graves a un sendero mantenido milagrosamente desde la Edad Media, hasta el punto de que numerosas Asociaciones jacobeas han pedido a la UNESCO que revise la declaración de Patrimonio de la Humanidad que un día mereció esta ruta.
Santiago.- Galicia, Portugal y Francia han creado una Federación Europea de los Caminos de Santiago, que, de acuerdo con sus estatutos «tiene como objeto reunir a las colectividades territoriales del continente atravesadas por las rutas jacobeas alrededor de una promoción conjunta cultural y turística de las mismas, tratándose de un patrimonio que comparten desde hace varios siglos».
«Recobrado el fuerte dinamismo (de la peregrinación al sepulcro del Apóstol) es necesario –se lee en el documento- diseñar una estructura formal de colaboración a fin de promover intercambios permanentes y de coordinar, alrededor del propósito común político e institucional, las acciones de organización y puesta en valor» de los senderos que conducen a Compostela.
A la firma del acuerdo asistieron por el Gobierno gallego, el consejero Roberto Varela, y, por Francia Laurent Wauquiez, ministro de Asuntos Europeos y alcalde de Le-Puy-en-Vélay, escenario de la ceremonia.
Al encontrarse en funciones, por el Ejecutivo luso no suscribió el pacto ningún ministro, sino una alto cargo llamada Elvira Pacheco.
En cambio, en una acción difícil de justificar, el gobierno regional gallego no ha incluido en este convenio a ninguna de las regiones españolas por las que pasan las rutas jacobeas, que en conjunto suman muchos cientos de kilómetros de senderos y decenas de municipios atravesados por los caminos que usan los peregrinos.
Además, el ejecutivo regional gallego se ha abrogado la representación de toda España en un acto que incluye a estados y que también excluye a otras muchas naciones europeas comprometidas con el desarrollo del Camino de Santiago, de las que proceden muchos de los peregrinos que culminan en Compostela sus peregrinaciones.
Dentro de las medidas de propaganda del gobierno gallego, ha anunciado que planea firmar próximamente con alcaldes de 118 concellos de su región sendos conciertos de cooperación por valor de más de 800.000 euros, para financiar trabajos desbroce y limpieza en el Camino este año.
Sin embargo, sigue permitiendo que en muchos municipios del Camino se produzcan agresiones y alteraciones graves a un sendero mantenido milagrosamente desde la Edad Media, hasta el punto de que numerosas Asociaciones jacobeas han pedido a la UNESCO que revise la declaración de Patrimonio de la Humanidad que un día mereció esta ruta.
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